Fabio De Chirico

Transiti / 2009

Il metodo di lavoro di Rita Ernst ricorda quello del grande protagonista svizzero del Movimento Arte Concreta (MAC), Max Bill, ossia della “permutazione cromatica” per cui le forme restano sostanzialmente invariate e mutano solo i colori, un’arte «basata soltanto sulla realizzazione e sull’oggettivazione delle intuizioni dell’artista, rese in concrete immagini di forma-colore, lontane da ogni significato simbolico, da ogni astrazione formale, e mirante a cogliere solo quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi, di cui è ricco il mondo dei colori» (Dorfles).

Giunta a Trapani negli anni Novanta, lavora al “Progetto Sicilia” che chiarifica il percorso di ricerca intrapreso: i suoi dipinti, infatti, si possono leggere come un codice formale, un linguaggio preciso costruito a partire da una personale rielaborazione dei tracciati planimetrici dei più importanti edifici della regione (le strutture arabo-normanne, le chiese barocche). Dall’attenta riproduzione e riflessione sui moduli planimetrici accuratamente desunti in scala, per un processo di progressiva riduzione la Ernst estrae figure piane che corrispondono a perimetri, strutture portanti, colonne o pilastri e con essi costruisce geometrie bidimensionali con un personale alfabeto formale. L’uso del colore, poi, le permette di modulare le variazioni sul tema come si trattasse di specifiche composizioni all’interno di un’unica opera. Per cui si passa dalle opere iniziali, in cui predominano le ortogonali e i colori primari (le strutture arabo-normanne) a quelle più recenti, in cui gradualmente introduce elementi circolari, a documentare l’articolarsi teatrale delle strutture barocche. Ritengo, conoscendola da alcuni anni, che una fase di vera svolta nel suo lavoro sia rappresentata dalle “trasparenze”: introdotte a partire dalla mostra per il DiArt di Trapani (2005) esse hanno rappresentato nel suo linguaggio visivo un vero e proprio distacco dalla tradizione concreta più ortodossa, una emancipazione nella direzione di un’acquisizione più consapevole dei propri mezzi espressivi, ma anche la scoperta di una potenzialità inedita che la sovrapposizione di strati e di figure, non più evidenti nei loro cromatismi dichiarati, le consente di esprimere una varietà di stati interiori, altrimenti non raggiungibile. Come se il suo linguaggio si fosse improvvisamente arricchito di un vocabolario nuovo, con un’espansione del discorso pittorico che proietta ben al di là delle intenzioni stesse dell’artista. Recentemente si è cimentata con l’adozione di moduli decorativi derivanti dalla decorazione delle maioliche pavimentali, sempre però strutturati su una griglia che ritrova nella matrice dell’arte concreta la sua propria e specifica ascendenza identitaria.

Fabio De Chirico *1963, ist Kunsthistoriker und Kunstkritiker